Alla fine di settembre, The Economist ha pubblicato un’analisi interessante sullo stato attuale dello sviluppo di AI. Da un lato, sono innegabili i progressi di ChatGPT e di OpenAI; dall’altro, però, il consumo energetico richiesto per i calcoli computazionali è aumentato in modo esponenziale. Per arrivare a GPT-4, è stata necessaria una quantità di energia pari a quella consumata da 50 case americane per un secolo. Si stima che, mentre i modelli attuali costano circa 100 milioni di dollari per l’addestramento, i prossimi potrebbero arrivare a 1 miliardo e quelli successivi a 10 miliardi. Una AI generativa insostenibile? Un’altra bolla speculativa destinata a far crollare investimenti che si riveleranno folli (Nvidia ha visto aumentare la propria capitalizzazione di mercato di 2.500 miliardi in soli 2 anni)?
La storia dell’umanità, tuttavia, ci offre qualche rassicurazione. Molte crisi in passato sono state occasione per sviluppare nuove soluzioni, anche energetiche; basti pensare al nucleare o al fracking. Già oggi sono in corso delle “correzioni di rotta”: sia i produttori di chip che gli sviluppatori di software stanno adottando soluzioni e paradigmi più efficienti, abbandonando l’approccio iniziale che prevedeva un uso intensivo e indiscriminato delle risorse, sovraccaricando AI e facendola lavorare su processori comuni e generici.
Proprio dal settore dei chip potrebbero emergere nuovi scenari e protagonisti pronti a conquistare quote di mercato a scapito dell’80% attualmente detenuto da Nvidia. L’idea di un mercato variegato, anzichè monopolizzato da un unico attore, è certamente incoraggiante ma non è facile prevedere il futuro. Ad inizio ottobre, quindi qualche settimana dopo l’articolo in questione, AMD ha annunciato la nuova versione del chip MI325-X ottimizzato per AI e destinato a contrastare lo strapotere del gioiello di casa Nvidia Blackwell. Wall Street ha accolto la notizia con un “entusiasmante” calo del titolo del 5%, probabilmente perchè AMD non ha comunicato novità sul fronte dell’acquisizione di nuova clientela.
Inutile aggiungere che gli attuali scenari internazionali, segnati da tensioni, sospetti, guerre e reciproche minacce di distruzione, rappresentano lo sfondo su cui si sta vivendo questa sfida, che altrimenti sarebbe stata molto più entusiasmante. Lo stesso Economist conclude suggerendo agli Stati Uniti di adottare una politica diversa da quella di precludere soluzioni alla Cina, sapendo bene che Pechino, in quanto a capacità di aggirare divieti e procedere autonomamente, non ha rivali. Piuttosto, sarebbe più opportuno attrarre menti brillanti e talenti, i veri protagonisti di questa rivoluzione.